Karl Popper riprendiamocelo a sinistra
di Bruno Gravagnuolo (l'Unità)
Ma sì, riprendiamoci a sinistra Sir Karl Raimund. A cento anni
dalla nascita. E malgrado i tanti equivoci accumulatisi sulla
sua figura, anche per colpa della sinistra. Intanto però c'è un
primo ostacolo. Popper stesso si presenta, Aperti verbis,
come un liberale puro. Di centro, diremmo. Il che è ben
compendiato da una sua massima celebre a riguardo. Eccola: «Noi
dovremmo tentare di occuparci di politica fuori della
polarizzazione destra/sinistra. Penso sia un traguardo difficile
da conseguire, ma sono sicuro che si tratta di una cosa
praticabile».
Che vuol dire? Innanzitutto che Popper aveva una fiducia
incrollabile nella ragione critica, neutra, empirica. L'unica a
suo dire in grado di dirimere questioni conoscitive ed etiche,
benché poi Popper non si sia mai occupato ex professo di
etica.
Tuttavia per lui la «ragione critica» includeva un ben preciso
contenuto morale: l'universale potenziale liberatorio, sociale,
dell'intelletto umano. La cui sfera d'azione coincide con il
general intellect della comunità umana. O per meglio dire in
termini kantiani - Popper non amava la parola «comunità» - con
«l'uso pubblico della ragione».
V'è infatti sin dall'inizio un circolo virtuoso in Popper tra
ragione, etica, politica e categorie generali dell'agire. Ma -
ecco il punto - esse sono radicate nella responsabilità
individuale. L'uso pubblico della ragione è perciò sfida
eminentemente «individuale». In quanto «singoli», per Popper, ci
si sente abilitati alla ragione. E in quanto singoli si risponde
alle grandi questioni dell'etica, della politica e del sapere.
Un esempio? Sta nella gioventù di Popper. Quando il filosofo, in
origine militante del socialismo di sinistra, partecipa nel 1919
a una manifestazione, durante la quale la polizia uccide a
Vienna alcuni giovani dimostranti. In quell'occasione il futuro
filosofo è traumatizzato da un doppio cinismo. Dalla crudeltà
poliziesca. E dall'atteggiamento dei leader, che considerano un
successo politico l'indignazione suscitata dalla morte dei
giovani. Lì, non c'è solo l'affiorare di un tema che diverrà
classico in Popper. E cioè il rifiutò della violenza, coi rimedi
democratici per secondare il pacifico ricambio politico. C'è
l'idea di un rendiconto etico, e insieme razionale. È
accettabile sposare emotivamente una teoria politica finalistica,
senza commisurare oneri e benefici? Senza verificarne i costi
umani? Senza decidere se sul serio ne vale la pena, avendo
assunto a unità di misura un «esito finale» razionalmente
incontrollabile? Che accade quando «certe domande» vengono
rimosse nella coscienza, in nome della «bontà della Causa»? |